La Patologia cronica: tornare a vivere dentro ad un corpo che non può guarire

Scritto da Dr.ssa Ilaria Beltrami.

«A dire il vero, non è la morte, è la malattia quello che temo, l'immensa umiliazione legata al fatto di languire nei paraggi della morte » (Emil Cioran)

La prima reazione dinanzi ad una diagnosi  di patologia cronica è spesso di rifiuto, rabbia e negazione.

Essere affetti da una malattia significa che qualcosa all’interno di noi, indipendentemente dalla nostra volontà e fuori dal nostro controllo, non sta funzionando correttamente, limitando e pregiudicando la nostra possibilità di vivere presente e futura.

Essere malati vuol dire non avere le forze di essere ciò che siamo e che desideriamo essere, e le possibilità, gli strumenti, di realizzare quello che vorremmo e quello che è necessario al nostro benessere.

La malattia è una specie di tradimento da parte del nostro corpo, un ammutinamento su base cellulare che sottrae al nostro volere, il nostro strumento privilegiato di inter-azione con il mondo: il corpo.

Quando la guarigione non è auspicabile e possibile, parliamo di malattia cronica e della necessità di imparare a convivere con qualcosa che fino al giorno prima non avremmo neanche immaginato e che ha stravolto il nostro vivere ed il nostro modo di sentirci.

Imparare a convivere con la malattia è fondamentale perché evita che la persona aggravi con comportamenti sbagliati la sua condizione fisica e abbia la possibilità di continuare a condurre una vita soddisfacente.

Lo psicologo è di aiuto nell’elaborazione di quello che in qualche modo si configura come un lutto: si perde infatti una parte di sé ed è necessario prepararsi per investire su aspetti nuovi di sé, da favorire e sviluppare.

L’accettazione è un momento cruciale, perché è insieme fine e nuovo inizio.

Malattie cardiovascolari, ipertensione, diabete, obesità, sclerosi multipla, artride reumatoide etc. rappresentano, per la persona che ne riceve la diagnosi, la fine di un capitolo di vita e l'inizio di quello successivo.

La qualità del capitolo successivo dipende dal percorso che si fa.

In quell’istante che separa la morte dalla vita infatti, deve esserci una presa di consapevolezza importante che la persona raggiunge grazie al lavoro psicologico e grazie alla quale:

impara a separare la malattia dalla propria identità.

Non vi è più quindi dinanzi allo specchio un malato con vissuti di inferiorità, rifiuto, rabbia, negazione, bensì una persona affetta da una malattia.

Una persona capace di farsi carico di un problema, motivata a trovare il modo migliore per gestirlo per continuare a vivere dentro di sé, e in mezzo agli altri, nel mondo o nel piccolo nucleo affettivo famigliare.